Amore e odio, devozione e tradimento, carezza e pugno, riverenza e disprezzo, timore e diffidenza. Come nelle storie d’amore più durature e turbolente, diremo più umane, perché passionali, quella tra San Magno e gli anagnini, fin dall’inizio, è segnata da contraddizioni, ma anche da un invincibile sentimento di reciproco, finanche irrispettoso, possesso, come dire: siamo legati l’uno all’altro da un destino originario, da un patto d’amore inviolabile.

La storia inizia nel 877 d.c., anno in cui i saraceni, durante l’invasione del territorio, trafugano il corpo di San Magno da una chiesetta di Veroli. Qui avviene la vicenda della morte dei cavalli saraceni, (rappresentata in modo straordinario negli affreschi nella Cripta della Cattedrale di Anagni), che il re Muca attribuisce alla presenza del corpo di San Magno, il quale non aveva affatto gradito che i soldati avessero utilizzato la chiesetta come stalla. Sicché il re Muca decide di liberarsi del corpo del santo e, sapendo della devozione degli anagnini, si offre di venderglielo. Gli anagnini lo comprano a peso d’oro, per portarlo nella loro città, e in tutta risposta il santo che fa? Appena il carro che trasporta il suo corpo esce da Veroli, fa fermare i cavalli. Gli anagnini si allarmano, non sanno che fare, soprattutto perché quel carico è costato loro una fortuna. Allora si fanno audaci, e decidono di promettere al santo di venerarlo come protettore maggiore della città, e di festeggiare ogni anno la sua ricorrenza con una grande festa il 19 agosto. Soddisfatto, San Magno fa ripartire i cavalli.

Durante i secoli la festa dedicata al santo e il modo degli anagnini di manifestare il loro affetto al patrono segue vie divergenti; ora è più laica, quasi ludica e popolare, un’allegra gozzoviglia figlia della tradizione delle mascherate, ora è all’insegna della più severa devozione. Fatto sta che nel 1500 le autorità ecclesiastiche decidono di mettere un freno, di proibire gli eccessi, di istituire una norma.

Scoli dopo, agli inizi del ‘900, il vescovo Antonio Sardi ha la brillante idea di sostituire i vecchi busti in oro e argento di San Magno e San Pietro vescovo, portati in processione dagli anagnini fin dalla fine del ‘700, con una statua più imponente, di legno, dedicata solo al martire. Cosa fanno gli anagnini la sera in cui questa nuova statua compare per le strade della città? La prendono a cocomerate. Non la vogliono, la considerano un tradimento, uno scandalo, troppo legati sono alla tradizione. Ma anche questo è amore, no?, volere che le cose restino come sono, intatte, ammantate da un’aura di immutabile santità. In risposta il santo che fa? Il giorno seguente manda giù una grandinata così forte da distruggere tutti i raccolti.

L’anno dopo la statua è accantonata (donata alle suore cistercensi, che ancora oggi la conservano), e i due busti tornano in processione, restaurati, puliti, rinnovati. Pace fatta. Fino al prossimo alterco.

A cura di Anagni Excelsa

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