Questa è la storia di un’amicizia, tanto forte quanto distruttiva, la storia di due uomini dalle identità opposte ma unite dal destino, come le due facce di una moneta, come erano opposti, a quel tempo, il potere della Chiesa e quello delle Monarchie.
È una storia accaduta nel XII secolo, quando il Mediterraneo era il centro del mondo, e il mondo era diviso in due, tra cielo e terra, tra il volere di Dio e l’agire dell’Uomo, così come erano divisi in due gli esseri umani: anima e corpo: l’una era soggetta al papa, l’altro era appannaggio del re.
Ma quando la posta in gioco è, da una parte, la salvezza dell’anima e, dall’altra, la ricchezza materiale, quando il terreno di gioco si confonde all’orizzonte come il mare limpido sotto un cielo di cristallo, allora i confini sono difficili da definire, e la bramosia degli uomini prende il sopravvento.
Questa è la storia di un’amicizia che va in frantumi, trasformandosi in un odio silenzioso che non trova pace, né sfogo; è la storia di un rifiuto, che sfocia in un delitto efferato, la cui eco risuona come un lamento sinistro per tutto il Medioevo; infine è la storia di un martirio, una canonizzazione a tempo record, e il pentimento estremo di un re che striscia come un poveraccio vestito di stracci davanti alla tomba del suo fraterno nemico. È la storia di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, e di Enrico II, re d’Inghilterra.
Pochi anni prima, quando Enrico II lo nominò arcivescovo, Thomas Becket era suo intimo amico e suo cancelliere. Entrambi amanti della vita, delle donne, dei bagordi, condividono gli stessi intenti personali e politici, sebbene Thomas abbia intrapreso la carriera ecclesiastica, ed Enrico non nasconda la volontà di tenere tutto per sé il potere temporale. Ma a partire dal momento della nomina ad arcivescovo qualcosa cambiò in Thomas Becket: il senso del dovere per il ruolo che aveva ottenuto, insieme alla difesa degli interessi del clero, divennero più pressanti degli obblighi di amicizia nei confronti del re.
L’occasione dello scontro fu una firma: quella da apporre sulle Costituzioni di Clarendon (1164), dove il re apertamente limitava i poteri della Chiesa, imponendo, tra le altre cose, che un ecclesiastico che avesse commesso reato, venisse processato da un tribunale laico.