01. Info

Di fronte la chiesa di S. Andrea, si erge maestosa la suggestiva Casa Barnekow il cui nome deriva dal barone Albert Von Barnekow che vi si stabilì a metà dell’Ottocento dopo aver sposato una modella di origine anagnina. Le epigrafi, scritte in varie lingue e sollecitate da un forte fervore religioso, sono di difficile ed enigmatica interpretazione.

02. Indirizzo

Casa Barnekow
Strada Vittorio Emanuele, 89

03. Contatti

Ufficio Turistico di Anagni – Pro Loco
Largo Tommaso Gismondi
Telefono: 0775 727852
Email: p.proloco@libero.it

Anagni Excelsa - Palazzo Barnekow

Dell’Arte e dell’Amore

Appisolato nella sua carrozza, il barone di Barnekow cercò di contare in mente i giorni che erano trascorsi da quando era partito dalla sua terra natale, la Svezia, per intraprendere il viaggio in Italia. Non ricordava.

Da quanto tempo aveva lasciato Firenze e le sue delizie? Molto più di quanto immaginasse. E ora, che aveva lasciato anche lamata Roma, per dirigersi verso Napoli, una delle sue mete predilette, si sentiva smarrito, come se lenergia che gli aveva fatto intraprendere il Gran Tour si fosse esaurita in quel tragitto sterrato in carrozza. Aveva forse bisogno di più avventura? No, non era mai stato un uomo avventuroso, piuttosto un intellettuale che si avventurava tra i meandri delle belle arti. Aveva bisogno di compagnia? Magari una piacevole conversazione con un amico non gli sarebbe dispiaciuta, ma non era certo il tipo da non sentirsi a suo agio in solitudine. Anzi spesso la preferiva. E allora? pensò.

«Cocchiere» urlò, colpendo col bastone il tettuccio della carrozza «ho bisogno di scendere, ferma i cavalli».

Scese, e per prima cosa si appartò dietro un cespuglio, per fare i suoi bisogni indisturbato. La vegetazione era rigogliosa, il silenzio della campagna invitava a contemplazioni poetiche. Più in basso, il barone notò con sorpresa un ruscello e, sistemati i pantaloni, si avventurò tra i cespugli verso la riva. Un fiume scorreva lentamente. Attraverso lacqua trasparente si vedeva il fondale pietroso. Un pesce guizzò tra i sassi levigati. Il barone si chinò, prese lacqua nella coppa delle mani e bevve. Dove siamo? In che splendida terra sono mai giunto?, pensò. Dun tratto udì una voce di donna, si voltò. La donna cantava una melodia sublime, e la sua voce era incantevole. Dovera? Sbirciò tra gli alberi, tra gli arbusti sulle sponde del fiume, finché, pochi metri avanti, la vide piegata sulle ginocchia, mentre si lavava i lunghi capelli nellacqua del fiume. Come si accorse della sua presenza, la donna sobbalzò, emise un urlo, e subito scappò via coprendosi il petto nudo.

Il barone cercò di rassicurarla e fermarla, «Aspettate, vi prego, non volevo spaventarla» ma era così sorpreso e confuso che nel tentativo di inseguirla inciampò e cadde in acqua. La ragazza scappò, perdendosi nel bosco. Bagnato dalla testa ai piedi, lui raggiunse la sponda dove aveva visto la donna inginocchiata. Qui, nascosto tra lerba, notò un fermaglio di osso dalla magnifica fattura a forma di farfalla. «Deve averlo dimenticato» disse tra sé e sé, e in un attimo si risolse a cercarla, in ogni luogo nei dintorni, ovunque fosse necessario, per poterglielo riconsegnare, nella speranza di rivederla.

Cercò e cercò. Mostrò il fermaglio al proprietario di una locanda nel pressi del fiume, ma non aveva idea di chi fosse. «Deve essere una nobildonna, per possedere un oggetto così raffinato».

Fu soltanto dopo una settimana di ricerche che il barone Bernekow, ormai rassegnato allinsuccesso, fece un incontro fortunato. In quei giorni aveva scoperto che il fiume dove la donna si lavava i capelli si chiamava fiume Sacco, e aveva visitato molti paesi nei dintorni della Ciociaria, chiedendo in ogni locanda informazioni sulla donna misteriosa, mostrando il suo fermaglio. Fu in una osteria dove si era fermato a pranzo che dun tratto un uomo si avvicinò al suo tavolo. «Mi perdoni signore, ma senza volerlo ho sentito cosa dicevate alloste e ho visto il fermaglio che adesso tenete sul tavolo», lo indicò col dito.

«Cosa sapete voi di questo fermaglio?» chiese il barone.

«Ecco, signore, posso assicurarle che non è la prima volta che lo vedo».

«Come? Dove lha visto già?»

«In un quadro, signore, nella casa del gentiluomo dove presto servizio insieme a mia moglie».

«In un quadro?»

«Sì signore, il dipinto di una donna».

«Dove posso trovarlo?»

Quando il barone di Barnekow si trovò davanti al quadro, per un attimo si sentì mancare, il cuore perse un battito. Non solo il fermaglio era lo stesso, ma non aveva dubbi che la donna dipinta fosse la stessa che aveva visto nel fiume. Nel quadro, ritratta di tre quarti, con una espressione eterea, era ancora più bella di quanto ricordasse.

Fu così che venne a sapere il suo nome, Anna. Era originaria di Anagni, e quando non lavorava come filandaia faceva la modella per i pittori del luogo. Non era una nobildonna, piuttosto di origine popolana, ma la sua bellezza era tale da innalzarla al di sopra di qualunque nobiltà.

Anagni Excelsa - Palazzo Barnekow
Anagni Excelsa - Palazzo Barnekow

Fu proprio ad Anagni che il barone poté incontrarla di nuovo. Fece in modo che lincontro risultasse del tutto casuale, ma in realtà lo aveva architettato fin nei minimi dettagli. Lunica cosa che non aveva potuto prevedere era che il cuore della ragazza apparteneva già a un altro uomo.

Lincontro avvenne a casa di un pittore conoscente di cari amici romani. Il barone non volle farsi riconoscere subito, si presentò come un pittore del Nord Europa che voleva usarla come modella per un quadro di carattere sacro. Anna, lusingata, accettò. «Quando volete cominciare?». Il barone, stupito dalla prontezza di spirito della ragazza, disse: «Anche subito mia cara», e anziché presentarsi restituendole il fermaglio che aveva trovato nel bosco, come era previsto che facesse, decise di continuare quel gioco, tenendole nascosti i suoi sentimenti.

Così, con sua sorpresa, il barone cominciò a dipingere un quadro che non aveva immaginato di realizzare. Ma era così inebriato dalle forme di Anna, così deliziato dalla sua presenza, che a un certo punto il desiderio di dipingerla divenne prorompente, decise di prendere in affitto una casa dove potesse lavorare in pace, per tutto il tempo che gli serviva. Quello che doveva essere un semplice ritratto per un soggetto sacro, divenne una composizione. Anna, durante il lavoro, non parlava mai, e lui non osava incalzarla, così felice era di poterla ammirare giorno dopo giorno non solo nel corpo, ma nella sua interezza, nella sua forza danimo, nella sua ruvida eleganza, che emergeva in ogni pennellata, in ogni sfumatura. 

Il pensiero del viaggio svanì. E poiché i suoi occhi di innamorato finirono per innamorarsi anche della città di Anagni, il barone volle comprare casa, per restarvi stabilmente. E così fece: acquistò un palazzo signorile lungo il corso principale. Forse, pensava, avrebbe potuto stabilirsi lì sempre.

Visitò più volte le meraviglie della città, e cominciò a studiare con vivo interesse, non già come turista, gli affreschi della Cripta della Cattedrale, quei meravigliosi dipinti medievali che ogni volta riempivano i suoi occhi di stupore e mistero. Ma ciò che più desiderava era Anna, la sua amata, la sua musa, per la quale provava un sentimento che spesso si sorprendeva a somigliare al sentimento damore cortese di Dante Alighieri per la sua Beatrice. E come Beatrice, Anna era fuggente, scostante, distratta. Era la sua modella, certo, la vedeva ogni giorno – Dante non avrebbe potuto sperare tanto – ma tra di loro restava una distanza incolmabile. Perché non le aveva ancora detto del fermaglio?

Quando non posava per lui, il barone la osservava di nascosto mentre tornava a casa con la cesta del bucato, mentre rideva con le sue amiche, mentre usciva dalla messa e scendeva in piazza a prendere lacqua alla fontana. Osservandola, il barone componeva poesie struggenti, la invocava nella sua mente: «Anna, meraviglia del creato, Anna, dai seni prosperosi, Anna, dalla pelle di organza, Anna mia amata, piacere dei miei giorni, tormento delle mie notti insonni, dolore e sollievo del mio corpo mortale, luce dellanima mia».

Arrivò presto linverno, e il barone dovette tornare nella sua terra natale per sbrigare faccende legate alle sue proprietà. Poiché il quadro non era ancora finito, promise che sarebbe tornato quanto prima. E così fu. Nel marzo dellanno seguente partì di nuovo per lItalia, desideroso del bel tempo, della bella città di Anagni, ma soprattutto di rivedere Anna, per portare a termine il suo quadro, e per dichiararle finalmente il suo amore.

Quando la ebbe di nuovo davanti, nello studio della sua nuova casa, sentì un brivido. Con la mano nella tasca, stringeva tra le dita il fermaglio a forma di farfalla. Ma era imbarazzato, non trovava le parole. Fu Anna a interrompere il silenzio. «Come procede il vostro lavoro? Siete ancora dellidea che la sua modella non possa vedere la tela finché non sia compiuta?» disse lei ironica.

«Non sarebbe difficile per voi farmi cambiare idea allistante» disse il barone. Rimase a guardarla un attimo, arrossendo, poi tornò in sé e disse: «Comunque sia, vogliamo iniziare il lavoro?»

«Signor barone» disse Anna in tono di scuse. Era rimasta in soprabito come chi sia venuto solo per una visita fugace. Il barone se nera accorto, ma era troppo confuso per governare la situazione. Anna continuò. «Mi rincresce molto dirle che non potrò più posare per lei».

«Come?»

«Vedete, mi vergogno un poa dirlo, ma il mio futuro marito non vuole che io continui a lavorare. Ecco, sono venuta anche a portarvi questo» gli porse una busta che il barone prese con le mani tremanti. «È linvito per il mio matrimonio, ci teniamo molto che venga anche lei».

Non sarebbe andato. Per la delusione, il rammarico di non aver agito prima, il dolore, si ammalò. Ebbe una febbre alta che durò due settimane intere. Quando si riprese, sembrava trasformato. Era dimagrito e i suoi occhi, così vivi un tempo, sembravano ora svuotati di ogni gioia e speranza. Avrebbe voluto morire. Ma non era così coraggioso da riuscire a togliersi la vita. Così, nella follia di un innamorato deluso, credette che la cosa migliore da fare fosse uccidere, dentro di sé, la speranza del suo amore, e così fece: al posto dei quadri che avrebbero celebrato la sua gioia, fece affiggere sul muro della sua casa le lapidi che ne decretassero la morte. Su lastre di marmo, anziché le sue poesie speranzose, piene di desiderio, fece iscrivere versi di addio e morte nella sua lingua di origine, in modo che i cittadini di Anagni non potessero capirne il significato. Di propria mano dipinse il ritratto di Anna, la fece bella come era, ma la incorniciò come fosse una immagine funebre. Dopodiché si barricò dentro casa, e nessuno lo vide più.

Alcuni avrebbero giurato che fosse scomparso tra le stanze della sua abitazione, trasformandosi nel fantasma di se stesso. Alcuni avrebbero detto che il suo spirito fosse divenuto anchesso un dipinto sul muro, come il Dorian Gray di Oscar Wilde. Altri avrebbero raccontato di aver visto il barone, un giorno di inizio autunno, partire allalba su una carrozza nera, diretto a nord. Non avrebbe mai più messo piede ad Anagni, la città dove aveva conosciuto lamore, ma che suo malgrado era stata il teatro della sua morte interiore, a causa di una fanciulla che il destino gli aveva impedito di amare.

Nessuno avrebbe potuto sapere che il barone di Barnekow dun tratto chiese al cocchiere di fermarsi. Scese. Lalba rischiarava il bosco e faceva scintillare il fiume di mille riflessi luminosi. Per un poil barone immaginò che avrebbe potuto ritrovare il luogo di quel primo incontro. Ma era impossibile. Così prese il fermaglio dalla tasca, lo adagiò sul fiume, e lasciò che la corrente lo portasse via.

Anagni Excelsa - Palazzo Barnekow
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